Febbraio 2022 – Nokturnal Mortum

 

Quando la città di uno dei tuoi gruppi preferiti in assoluto tra quelli esistenti sul globo viene quasi rasa al suolo da stormi neri di bombe e missili, non poeticamente parlando, è davvero difficile scrivere un articolo che vede proprio questa band protagonista senza rivolgerci, magari involontariamente, anche solo un pensiero che sia almeno di passaggio. Non alla situazione nel globale, che pure, indubbiamente, lo meriterebbe in tutt’altra sede, bensì proprio a quelle persone che stanno dietro all’arte che ogni giorno trattiamo e amiamo: quelle a cui sentiamo, se interrogati nel profondo, di dovere realmente qualcosa per tutto ciò che hanno saputo regalarci mettendo loro stessi senza sconti nella musica che hanno donato a un mondo che, in fondo, non ha mai fatto granché per meritare un simile dono. Quelle con cui, proprio tramite questo dono, percepiamo genuinamente un vero senso di comunità d’elezione, perché motivata da quel qualcosa che non si può descrivere eppure accomuna e unisce realmente nel profondo. D’altro canto e in tutta franchezza, è altrettanto vero, sono le stesse identiche persone che qui sopra mai abbiamo tenuto in alcuna esplicita considerazione reputandolo addirittura fuorviante, ininfluente e tutto sommato sbagliato nei confronti delle altezze che percepiamo nella loro arte e nel complesso cosmo in essa creato e condiviso con noi; reputandoci, forse con un po’ di supponenza (sincera e in buona fede, se non altro), vascelli di un qualcosa di infinitamente più grande, esattamente come per noi lo sono queste persone. Lo reputiamo vero ancora oggi. Forse, e questo apparirà inevitabilmente un controsenso per qualcuno, oggi lo reputiamo più vero di ieri. Ma è in fondo proprio per questo motivo, dovesse cascare non una città, non una qualunque nazione ma direttamente il mondo intero, che Pagan Storm Webzine non è mai stato -né mai sarà- luogo per simili discussioni e riflessioni. Perché quello che da oltre dieci anni facciamo qui sopra è sempre stato -e sempre sarà- rivolto allo spirito: una metafora e prassi pratica verso qualcosa di infinitamente più alto ed irraggiungibile tramite i soli mezzi fisici concessici su questa terra, salvo e al sicuro qualunque cosa a lei o a noi possa dunque accadere.
È quindi forse con uno spirito simile che sembra più adatto aprire oggi il primo articolo del mese dedicato al 2022, dopo il salto a piè pari di un gennaio decisamente troppo sotto tono, immeritevole ed infertile anche solo per provarci. Con uno spirito che invece non prova ma deve necessariamente rimanere alto, anche e soprattutto in onore delle persone che, anzitutto, dietro a questa band stanno (la quale per mera circostanza fortuita -chi ci segue da qualche tempo lo sa senza alcun bisogno di inutili specifiche- ha composto e rilasciato in febbraio il nostro assoluto disco del mese), celebrare una grandezza che nessun confine nazionale, nessuna guerra, nessun disastro di alcun tipo, nessuna fine e nessunissima arma al mondo possono minacciare o seriamente anche solo scalfire; una identità che è quella dello spirito, rivendicata con resistenza ogni giorno su queste pagine così come viene rivendicata unilateralmente da ogni ascolto dei grandi dischi che scegliamo di trattare, accomunandoli, dividendoli (dividendoci) dal resto e da ogni tentativo avverso di minaccia a ciò per cui siamo disposti a vivere e morire. I quattro di oggi non fanno eccezione.

 

 

I Nokturnal Mortum, rivoluzionati in una formazione che riacquista lo stesso vecchio sangue che scorreva nelle vene dei suoi primi capitoli discografici della seconda metà degli anni ’90, scelgono di usare proprio alcuni e selezionati brani del periodo “Lunar Poetry” per riesplorarli in un impensabile mix di splendidi germi del passato ed identità estremamente presente, con le intenzioni sempre rivolte al proprio futuro. Solo in questo modo “To Lunar Poetry”, con i suoi brani la cui ossatura principale risale a venticinque anni or sono, poteva diventare a tutti gli effetti un nuovo full-length capace di rivaleggiare ogni altra opera nella pratica maggiore della band di Kharkiv; solo rivivendo più che risuonando e riregistrando quei pezzi, solo approcciandone le intuizioni melodiche come fossero nuova materia da cui farsi ispirare e con cui creare da zero si poteva rilasciare qualcosa di grande, che non togliesse semplicemente polvere dalla superficie. E gli esiti completamente stravolti e rivoluzionati in arrangiamento e creatività di esempi -non solo per mezzi tecnici- fino ad oggi decisamente minori nel proprio catalogo come “Return Of The Vampire Lord”, “Carpathian Mysteries”, “…And Winter Becomes” (per non parlare di “Ancient Nation” e di una incredibile “Autodafe”), mostrano non più una qualche diapositiva del passato (come accade solitamente nella tradizione culturale tutta slava della riregistrazione in ambito Black Metal) ma quella dell’eterno presente in cui i Nokturnal Mortum vivono; quell’eterno presente magico che riesce a renderli protagonisti assoluti di un panorama anche quando suonano canzoni che, dal titolo, dovrebbero in teoria essere vecchie due decadi e mezza, e che invece suonano come non sono mai riuscite a suonare prima nonché parte inedita di uno dei migliori e più attuali dischi di quel coraggioso, testardo Black Metal sinfonico tra quelli usciti negli ultimi anni.”

Sepolta per anni sotto gentili strati di neve candida e gelida, sperduta nei turbinii del tempo ma mai dimenticata né tantomeno rinnegata, la poesia lunare dei Nokturnal Mortum riprende vita, baluginando incorrotta e indomita ancora una volta come la prima – più della prima. Se poteva essere in fondo intuibile che una band di tale caratura artistica avrebbe evitato ad ogni costo una sterile riproposizione nostalgica dal semplice rinnovamento tecnico e sonoro, “To Lunar Poetry” va anche oltre il concetto di rielaborazione di una vecchia opera con lo stile rinnovato degli autori: i brani ripresentati qui suonano infatti come pressoché nulla prima nella discografia della formazione di Kharkiv, tingendosi di note auree fattesi argentee, sì assolutamente figlie delle trame di “Verity” ma pregne di una grandiosità compositiva qui veicolata in modo nuovo e in perfetta comunione con quelle che sono scelte e melodie del demo originale tanto distanti temporalmente. Un ponte fra passato e presente in grado di estasiare chi già da decenni si crogiola in quelle note e chiunque altro voglia sentire -de facto- uno dei prodotti migliori di cui l’est Europa e in generale il Black Metal folkloristico possano fregiarsi.”

Operazione senza dubbio piacevole quella portata avanti dai Nokturnal Mortum attraverso la reinterpretazione larga e fantasiosa (con per di più l’aggiunta della misconosciuta “Return Of The Vampire Lord”) di un pezzo importantissimo della loro storia. Quello che solamente di base fu il “Lunar Poetry” del 1996, suonato nel 2022, diventa un’esperienza che se da un lato può in un certo senso suonare meno viscerale, dall’altro fa emergere purissima qualità. Proprio il fatto che la band abbia voluto riportare in vita le fondamenta di quest’opera con i propri mezzi odierni (non solo tecnici) fa capire che questo è, al di là di romanticismi di sorta ed evidentemente legati alla pura nostalgia individuale, il vero “Lunar Poetry” secondo i suoi autori; non semplicemente un omaggio come il titolo sembrerebbe suggerire, ma la vera visione di un disco che per i suoi limiti non strettamente qualitativi era rimasto relegato al titolo esecutivo di demo e che invece, solo oggi, finalmente, prende vita propria. Aggiungiamoci che stiamo parlando di una sottocultura musicale dove il termine ‘commerciale’ non ha alcun senso, e l’ascolto non può che spingere a considerare quest’uscita come un prodotto genuino e fatto col cuore: non a caso i risultati si sentono e il songwriting già splendido di un tempo, con le possibilità creative, tecniche e soprattutto di riscrittura e arrangiamento della band maturata fino al ventunesimo secolo rendono “To Lunary Poetry” una chicca assolutamente da non perdere.”

“I Nokturnal Mortum sono infallibili. Qualunque ascoltatore conosce bene i vari e grandi rischi rispetto alla resa finale, per una band, insiti nel registrare nuovamente dei vecchi lavori; specie se si parla di un demo diventato un autentico pezzo di culto tra le schiere dell’underground, il pericolo principale, volendo portare un esempio concreto nel discorso, è di assistere ad un fallimento del calibro della disastrosa ri-registrazione del classico “Stormblåst” effettuata dai Dimmu Borgir nel 2005, a una decade dalla concezione originaria del lavoro in questione. Ma stiamo pur sempre parlando dei Nokturnal Mortum, nonché di venticinque dalla pubblicazione del loro celebrato “Lunar Poetry”, un’opera dimostrativa amata come poche nel suo genere. Dunque forse sorprenderà solo in parte che, al netto dello stupore un po’ di tutti all’annuncio dei lavori, da parte di una band che non ha in fondo mai deluso delle aspettative, l’esito sia diametralmente opposto alla vituperata operazione dei padrini norvegesi: c’è tanta, tantissima genuinità dietro questo nuovo lavoro, uno in cui il potenziale effetto nostalgia per chi già ha avuto modo di amare le intuizioni melodiche alla base di questi brani reinterpretati e reinventati non fa che innalzare e sublimare il livello complessivo di una proposta che è in enorme parte nuova e completarlo, dissipando nel mentre anche ogni possibile scetticismo per una produzione inevitabilmente più moderna. Infallibili, qualunque cosa suonino.”

Gli Ultra Silvam, ad un pelo dall’essere consacrati con “The Sanctity Of Death” autori del disco del mese, che più d’uno tra noi aspettava al varco del secondo album dopo gli esiti del buon debutto “The Spearwoun Of Salvation” nel 2019. I ragazzi della Scania replicano ogni premessa, ancora per Shadow Records, portando però la propria proposta in territori inesplorati e senza far perdere un briciolo di ferocia alle loro diavolerie messe in musica.

Figli sghembi e sgraziati soprattutto delle apocalissi sonore dei Nifelheim, dell’abrasione estrema dei riff nucleari e sanguinolenti di “Blood Fire Death”, ma anche dell’oscurità onnisciente dei Dissection e in generale di pressoché tutto ciò che ha reso grande il Black Metal in Svezia negli ultimi trent’anni, sebbene raccolto e versato tramite selezionatissime dosi in un calderone che è ormai tutto loro, gli Ultra Silvam di “The Sanctity Of Death” sono un concentrato esplosivo di una tradizione tanto sfaccettata quanto lanciata con tracotanza e a mille chilometri orari verso l’iconoclastia di sé stessa, pronta a rovesciare la creazione in distruzione; radiattivo come scorie, ribelle e nervoso come un serpente velenoso, casinista come in pochissimi possono permettersi di essere senza scadere nel qualunquismo musicale più totale, il trio dimostra in otto brani uno più memorabile dell’altro -nonostante e forse proprio grazie all’esiziale ferocia esecutiva tanto compatta nel dialogo tra strumentisti- che nel salto pindarico che occorre tra una “Of Molded Bread And Rotten Wine” e una “Sodom Vises Himlafärd” solo il vero talento può organizzare con successo un brodo di confusione tanto eterodossa e graziato da sprazzi di autentica genialità.”

Anche senza spingersi fin sulle vette di truculenza raggiunte dal consanguineo reparto armato Hinsides nel recente debut, la seconda scorribanda in studio ad opera del collettivo svedese regala un altro biglietto di prima classe per mezz’ora filata di montagne russe, lanciati su rotaie traballanti quanto i riff Speed Metal insozzati di morchia e solcati da sguaiati svarioni solistici e stilistici in ossequio ad un’evidente passione per gli anni ‘80 il più sporchi ed anfetaminici possibile. Classica e tagliente quindi nel sublime sound a garanzia Devo Anderssen ma parecchio incline alla scanzonatezza del Black ‘N’ Roll ad alto voltaggio, la brigata di Malmö punta più che mai dritta alla carotide crogiolandosi in una cattiveria assai rara tra le nuove leve, niente affatto ripetitiva ed irresistibile per qualunque piede destro funzionante: in combo coi più squadrati Owls Woods Graves (del buon “Secret Spies Of The Horned Patrician” a gennaio), gli Ultra Silvam di “The Sanctity Of Death” inaugurano insomma l’anno non proprio accademico a petardi e mani in faccia per il sollazzo dei casinisti impenitenti.”

Il Black Metal degli Ultra Silvam è diabolico, tremendo e smaliziato nel saper concentrare in poco più di mezz’ora una quantità spaventosa di riff e soluzioni vertiginose e taglienti, inerpicate in rincorse e cascate corrosive ad infrangere qualsivoglia unicum e distruggere ogni forma di staticità e monoliticità. Ma il tirannico monopolio dell’attenzione che “The Sanctity Of Death” esercita all’ascolto non è assolutamente legato alla sua breve durata, come poteva essere in parte il caso del precedente “The Spearwound Salvation”, bensì al grandioso gusto con cui si susseguono e si incastrano le fittissime soluzioni, la cui verve melodica della Svezia più nera e obliata fa da collante ad una scrittura apparentemente efferata e sprezzante, ma che agisce sapientemente su più piani: alla rincorsa arrembante e talvolta incredibilmente catchy si giustappongono continuamente dettagli che impreziosiscono ed esplorano sempre nuovi aspetti della miscela di sangue putrescente, coagulato e infetto che avvolge gli effluvi della seconda opera degli Ultra Silvam.”

Si fa una scappata nella sempre ricca Polonia prima di tornare alla Scandinavia (per metà, almeno) con l’esperienza completa dei Wędrujący Wiatr, il nuovo “Zorzysta Staje Oćma” pubblicato via Werewolf Promotion in un digibook decisamente nobile per pareggiare le ambiziose intenzioni narrative del disco: il duo, nel tramite del suo elegante Black Metal atmosferico accompagnato da più di cinquanta pagine, ci narra una propria storia fatta di tradizioni e mito, di realtà e sogno, di uomo e mostro…

Tornando con del nuovo materiale a sorpresa e dopo ben sei anni di muta assenza, i polacchi Wędrujący Wiatr pubblicano il loro terzo full-length, “Zorzysta Staje Oćma”, che in seguito a quelle che furono due prove decisamente concrete (“O Turniach, Jeziorach I Nocnych Szlakach” fu, per chi scrive, già uno dei dischi più riusciti del 2016) li attesta come una delle nuove realtà più interessanti per quel che riguarda l’Atmospheric Black Metal attualmente. Prendendo più di uno spunto da gruppi che sono ormai pilastri tutelari dell’intera area est europea come gli ultimi Drudkh e gli ormai leggendari Walknut, i polacchi sviluppano ciononostante una loro versione di Black Metal molto crepuscolare, eterea à la Saor, dove l’atmosfera è un bellissimo mix di continuità fra le chitarre, le tastiere e gli strumenti Folk (ci si mettano pure di mezzo anche le influenze alla Negură Bunget, ma private dell’elemento Progressive), in cui tuttavia non mancano alcuni passaggi in cui i musicisti pestano sull’acceleratore, con estrema perizia, senza rovinare ovvero in alcun modo il raffinato contesto atmosferico che domina il racconto concettuale in sette capitoli. Una ottima riconferma.”

Come preannunciato, la Norvegia del cantante Wraath (ex-chitarrista dei Celestial Bloodshed e dei One Tail, One Head, oltre che attuale membro di Beyond Man e Behexen tra gli altri) in tandem con l’Italia del polistrumentista Omega dà l’ultima zampata finale di oggi coi Darvaza, giunti tramite la partner Terratur Possessions al fatidico momento del debutto su full-length. Ce ne parla nuovamente Feanor, rimastone piacevolmente colpito.

Dopo una serie di promettenti EP che hanno contribuito a farne il nome insieme all’ormai noto blasone Terratur, il duo italo-norvegese Darvaza giunge infine al fatidico full-length di debutto mettendo in mostra con “Ascending Into Perdition” tutte le proprie caratteristiche con le quali gli ascoltatori hanno ormai dovutamente familiarizzato: i ritmi variegati garantiti dalle capacità strumentistiche (soprattutto alla batteria) di Omega (l’impegnatissimo Gionata Potenti che attualmente figura, tra gli altri, in Martröð, Fides Inversa e Kult), atmosfere sulfuree e ritualistiche orchestrate dalle declamazioni di Wraath ma sempre dotate di una immancabile, adeguata dose di melodia interna dal sapore ipnotico per rendere memorabili i brani, enfatici anche su ritmi particolarmente sostenuti reiterati a lungo. Una buona prima prova, decisamente degna di nota.”

In una ancora giovane annata che tuttavia di degno di nota ha avuto, sfortunatamente, per il momento ben altro che la musica, già incominciata dal canto suo a rilento qualitativo durante il primo mese di gennaio e con pochissimi annunci in prospettiva rispetto al solito, per gli ormai ben noti rallentamenti nella produzione fisica (dovuti non soltanto -ma soprattutto- all’idiotico sovraccarico delle richieste ricadute negli ultimi anni sulle fabbriche di vinile), questo febbraio appena ricapitolato col suo meglio in quattro atti potrebbe anche rivelarsi, oltre che il primo, uno degli ultimi mesi di relativa stabilità prima che altre incertezze -ovviamente ben più gravi di qualche vinile rimandato o prodotto più tardi di altri e migliori formati- impediscano tra le altre cose a svariati nuovi dischi pronti di uscire effettivamente. Volendo doverosamente limitarci al nostro piccolo mondo fatto di oscurità in forma aurale, due selezionati esempi (altamente e volutamente simbolici) porgono spunti di riflessione: non solo gli ucraini White Ward avrebbero dovuto annunciare il loro terzo full-length la scorsa settimana (a questo punto indeterminatamente rimandato), ma i russi Arkona hanno un nuovo album praticamente pronto da quasi due anni, la cui pubblicazione è al momento altrettanto congelata. Insomma, tra i più vari ed eventuali stop di due annate di pandemia globale e una terza inaugurata da una guerra così vicina a seguirle suonerebbe davvero ridicolo questa volta chiudere indifferentemente coi soliti pronostici e auguri di sorta (che sarebbero ad ogni modo ricaduti sui vari Aethyrick ed Heltekvad, nonostante tutto attesissimi durante marzo). Torna e resta forse molto più adatto proprio quello spirito di bizzarra comunione, di vicinanza sentita per un preciso ed irresistibile motivo più che di comunità, con cui avevamo aperto: perché sì, in fondo, anche le quattro prelibatezze di questo febbraio che vi lasciamo da ascoltare e provare arrivano dopo due anni interi di epidemia mondiale che non aveva avuto precedenti nell’età moderna a noi più prossima…

 

Matteo “Theo” Damiani

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